L’orto sociale della Cooperativa Tarassaco

La Cooperativa sociale Tarassaco nasce a dicembre 2015 e si occupa del reinserimento di soggetti svantaggiati nel mondo del lavoro. Tra i diversi percorsi attivati, la Cooperativa gestisce anche un orto sociale dove lavorano i protagonisti di questo reportage: Moreno e Primo.


Ci accompagna a conoscerli Stefano Castagno, consigliere della Coopera-tiva e collaboratore dell’area proget-tazione della Caritas di Fermo.

C. Gambarini, J. M. Kennedy, A. M. Mazza,

U. Milano, F. Rigamonti, D. Spaccasassi

Capitolo I.

Moreno

Moreno si piega sulle ginocchia e raccoglie una piccola zolla di terra. Se la rigira per un po’ tra pollice e indice e la fa saltellare sul palmo della mano. Nonostante sia novembre inoltrato le temperature sono ancora molto gradevoli e non piove da un po’.


La terra è fresca grazie al sistema di irrigazione a goccia che prende acqua dal pozzo e la distribuisce nell’orto dove sono state piantate le verdure.


Moreno si rialza passandosi la mano sui jeans, lasciando cadere la zolla di terra che si sfarina sulle foglie dei cavolfiori.


Si guarda attorno con un sorriso sornione, e in posa con le gambe larghe, le lunghe braccia abbandonate sui fianchi e gli occhiali da sole sembra davvero essere a suo agio in questo posto.


Ci troviamo a Rapagnano in provincia di Fermo, e quello che stiamo visitando è l’orto della Cooperativa sociale Tarassaco: un fazzoletto di terra coltivata a ortaggi tra la SP 239 Fermana e la contrada Santa Colomba.


Tutto attorno bifamiliari sparse qua e là lungo la strada, altri campi e il profilo delle colline in lontananza.

CAPITOLO I. MORENO

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Cooperative sociali di tipo A e B


In Italia le cooperative sociali sono a tutti gli effetti delle imprese che attraverso i valori della mutualità e della solidarietà cercano di perseguire gli interessi condivisi dalla comunità. Il fatto che la necessità sia quella di soddisfare un bisogno collettivo e non unicamente inerente ai bisogni dei soci è ciò che dovrebbe distinguere le cooperative sociali dalle altre.

Le cooperative sociali possono essere di tre tipologie: A, B e AB (Tarassaco è di tipologia AB). Per tipologia A si intende una cooperativa che offre percorsi di formazione e servizi socio-sanitari, mentre le cooperative di tipo B si impegnano a creare percorsi di reinserimento lavorativo e sociale per i soggetti svantaggiati.

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Breve storia delle cooperative sociali


I movimenti cooperativi presero forma a seguito della Rivoluzione industriale che sconvolse l’assetto produttivo ed economico dell’Inghilterra. Il primo caso di “associazione cooperativa” risale al Natale del 1844 quando a Rochdale ventotto tessitori, minacciati dalla fame, inaugurarono il primo spaccio cooperativo al fine di migliorare la situazione economica e sociale dei soci (M. Dell'Innocenti, Il movimento cooperativo nella storia d’Europa, Milano, Franco Angeli, 1988). Era un esperimento dal basso, laico e di stampo socialista.

Da allora il modello si è sviluppato sul continente europeo prendendo forme diverse. In Italia la prima presa d’atto delle formazioni cooperative – la cui validità è stata riconosciuta per il ruolo strutturale che svolgevano nella trasformazione dell’economia del paese e per la stabilizzazione della democrazia – risale al 1904 con la legislazione emanata per volontà del Ministro Luigi Luzzotti. Per come le intendiamo oggi, le cooperative sociali sono disciplinate dalla legge 381 del 1991, che le ha formalmente istituite.


CAPITOLO I. MORENO

Oltrepassiamo il confine dell’orto insieme a Moreno e ci spostiamo nel prato accanto. Qui il terreno comincia a salire con una leggera pendenza verso la fila di cipressi che un centinaio di metri più in alto segna i confini della proprietà.


“Io mi occupo di tutto il verde. Qualsiasi cosa verde è roba mia!”. Moreno è entrato nella cooperativa 6 anni fa, e da

allora guadagnando esperienza e fiducia è diventato caposquadra del piccolo gruppo di operai agricoli.


Questi si occupano del “settore verde” per conto della cooperativa, dalla coltivazione degli ortaggi al recupero degli oliveti, fino alla manutenzione del verde pubblico e privato.


CAPITOLO I. MORENO

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I settori in cui opera la Cooperativa


Sul fronte della tipologia A la cooperativa si occupa di accogliere persone senza fissa dimora o all’interno del dormitorio a Fermo o attraverso l’alloggio sociale negli appartamenti gestiti dalla Caritas.


Come per la tipologia B, anche in questo caso il fine ultimo è quello di guidare le persone verso una loro autonomia e autosufficienza attraverso un percorso a gradini. Si comincia con l’accompagnamento all’interno dei dormitori, si passa ad una seconda accoglienza all’interno dell’appartamento per un periodo di tempo misurato per ciascuna persona in base alla necessità, e contestualmente si aprono prospettive di tirocinio all’interno della cooperativa.


Terminata questa finestra di tempo, in genere il soggetto trova una sua stabilità che lo porta a trovare autonomia abitativa e lavorativa al di fuori della cooperativa, inizialmente grazie a sussidi esterni e raggiungendo poi anche un equilibrio finanziario indipendente.


Come cooperativa di tipo B, Tarassaco si occupa in particolare di 4 settori: il settore agricolo, il verde, i servizi di pulizia e i servizi di comunicazione.


Il settore agricolo comprende il recupero di oliveti abbandonati e l’orto sociale. L’orto viene gestito dagli operai agricoli con un’ottica di sostenibilità che si riflette sulle dimensioni del terreno, sul numero di

persone che ci lavorano, sulla scelta di valorizzare le produzioni tipiche del territorio in stagione e a Km0 e sull’utilizzo di un impianto di irrigazione a goccia.


Il verde: a partire dal 2017, in collaborazione con la municipalizzata di Fermo Asite – l’ente che gestisce anche il verde pubblico della città – che subappalta alcuni lavori di manutenzione del verde, gli operai agricoli della cooperativa si dedicano ad attività di riqualificazione del verde pubblico, di giardinaggio presso privati, e della potatura degli uliveti abbandonati.


Il ramo dei servizi di pulizia è l’unico della Cooperativa Tarassaco dedicato alle donne. Nasce nel 2018 a fronte dell’arrivo allo sportello di lavoro della Caritas di una donna di quarant’anni, mamma separata che aveva recentemente perso il suo posto di lavoro in una ditta di pulizie. La cooperativa assieme a lei si ingegna per creare un percorso di formazione professionale in questo ambito, procurando i materiali necessari e i clienti – tra i primi ci sono stati la Diocesi di Fermo e la Farmacia Comunale. Attualmente in questo settore lavorano quattro donne, due italiane e due straniere. Come per l’orto, anche il servizio di pulizie è stato pensato come un trampolino di lancio: l’occasione per reinserirsi a livello lavorativo, e successivamente per avere i mezzi per proseguire sulla stessa strada o al di fuori della cooperativa, intraprendendo anche nuovi percorsi professionali.

CAPITOLO I. MORENO

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I servizi di comunicazione: il team della cooperativa affianca e supporta imprese e privati per realizzare strategie di comunicazione online e offline – creazione della brand identity, progettazione di loghi e grafica pubblicitaria e attività di social media marketing, dalla gestione delle pagine social alla creazione di newsletter, redazione di articoli ottimizzati per il web e grafiche personalizzate.


Attualmente è in corso la seconda Campagna di Natale della Cooperativa. Negli scorsi mesi sono stati avviati dei laboratori in cui venivano realizzati i pacchi

natalizi con i prodotti della cooperativa da vendere. I prodotti variano dall’olio ricavato dagli uliveti recuperati dal nome “Akos”, trasformati, marmellate.


In questa occasione tramite la formula del tirocinio è stata assunta una persona con disabilità. Inoltre in questa attività Tarassaco collabora con un’altra cooperativa sociale di tipo B: “Il Talento” di Morrovalle.

CAPITOLO I. MORENO

Mentre risaliamo in-sieme il pendio con il sole che ci scalda la schiena gli chiediamo della sua storia. Questa mattina, all’interno della sede della cooperativa in via Giovanni da Palestrina a Fermo, abbiamo scambiato qualche parola con lui: seduti tutti insieme in un piccolo ufficio arredato in maniera spartana Moreno ci ha detto: “Non mi è mai piaciuto starmene al chiuso in un ufficio, nemmeno quando ero in Marocco”. Riprendia-mo la conversazione da qui, chiedendogli degli anni marocchini.


“Ho studiato per diventare tecnico per il controllo qualità – ci spiega Moreno – non avevo ancora 30 e stavo già lavorando negli uffici comunali di Casablanca come controllore dell’igiene alimentare”. Ha una famiglia solida: il padre

lavora come preside in una scuola assieme alla madre e hanno anche un pezzo di terra. Dopo gli anni della scuola Moreno si sposa con una sua compagna di classe.


Tuttavia si stanca presto della stabilità lavorativa, e ha bisogno di cercare qualcosa che ancora non c’è; un’insofferenza che tornerà negli anni a venire e che lo spingerà a cambiare diversi lavori.


“Non mi interessa quello che faccio: preferisco fare qualsiasi tipo di lavoro all’aperto e in movimento che restare seduto su una sedia per tutto il giorno. Questa cosa è molto più importante del lavoro in sé”.


Moreno decide allora di raggiungere alcuni parenti a Torino, è il 1991. L’Italia gli piace,

non conosce la lingua ma sa che imparerà in fretta: perché non restare? È così che incontra un’amica che gli propone di lavorare come marmista nella sua azienda a Rivarolo, in provincia di Torino. È un lavoro che Moreno non ha mai fatto in vita sua, ma decide comunque di prenderlo in considerazione e nel frattempo fa ritorno a Casablanca, dove si confronta con la famiglia. La decisione però è già presa, perché Moreno non vuole più restare in Marocco. Il padre lo benedice (“è la tua vita figliuolo, vai”), i suoi contatti in Italia preparano il contratto di lavoro e a 27 anni parte per cominciare una nuova esperienza.


Sorride, lo sguardo nascosto dietro gli occhiali da sole, e allarga le braccia come a dire è andata così,

CAPITOLO I. MORENO

come se fosse la cosa più naturale del mondo andare in un paese da turista e rimanerci tutta la vita. Lo incalziamo, vorremo capire cosa spinge una persona a lasciare la propria casa e la propria famiglia per inseguire la fortuna in un altro paese. Moreno allarga ancora le braccia, questa volta in un gesto che sa di fatalismo religioso, un’espressione che non prevede la possibilità di replica: “Non lo so perché sono venuto qua. È stato il destino, ho seguito la mia strada, quella in cui mi ha messo Dio. Dio ti fa la strada, tu devi solo seguirla”.


Moreno ci accompagna poi al capanno degli attrezzi. Ci mostra orgoglioso gli strumenti del lavoro di tutti i giorni; esce con una carriola, sembra un giocattolo vicino a lui.


Passa quasi un anno, Moreno ormai si è ambientato in Italia, impara la lingua da solo, stringe amicizie, lavora bene, torna spesso in Marocco e intanto matura l’idea di chiedere il ricongiungimento familiare. Ma diventa sempre

più forte anche la voglia di cambiare lavoro, magari anche città: ecco che un amico lo chiama da Fermo e gli dice che dove lavora stanno cercando un marmista. Moreno fa due più due, molla tutto e parte per raggiungere le Marche dove si ricongiunge con la moglie e le due figlie piccole e ha inizio una nuova vita come famiglia riunita.


Da quassù la vista si apre sul panorama, sotto

di noi l’orto, poi la strada e via via le chiazze verdi degli appezzamenti di terra che si spin-gono fino alle colline in lon-tananza. “Mi piace l’aria di Fermo”: Moreno sembra aver trovato il suo posto nelle Marche, e infatti dopo aver lavorato per qual-che anno come marmista ha voglia di cambiare ancora, rimanendo sempre in regione. Inizia così un periodo in cui alterna diversi lavori, finendo an-che per fare l’au-tista di camion.


Proviamo ad appro-fondire il discorso sulla condizione del lavoro in Italia, ma Moreno lo rein-dirizza sulla propria individualità capar-bia, il metro di giudizio con cui guarda alle cose del mondo. È una pro-


spettiva da “uomo artefice della propria fortuna”, che esprime in maniera lapi-daria: “io non credo a quelli che dicono che non c’è lavoro. Se ci sai fare, un lavoro lo trovi”.


Ritorniamo all’orto, ci fermiamo vicino al pozzo e a una pila di zucche accatastate al limitare del prato. Ce ne stiamo un po’ in silenzio. Poi Moreno, guardando al suo presente, ci dice: “ho 59 anni, il mio futuro l’ho già vissuto. Sto pensando alla pensione, e infatti nei prossimi giorni sentirò l’INPS per il con-

teggio dei contributi. Qui ho un lavoro, sto bene, amo questo posto. Non voglio niente, perché so ac-contentarmi delle cose più semplici ma più importanti. Mangiare, dormire, stare bene. Non ho problemi. È il massimo per me”.


Nel 2022 Moreno ha finito di scontare una condanna di 4 anni, espiata in regime di semilibertà. Grazie all’

inserimento lavorativo nel-la Cooperativa Tarassaco ha potuto così intrapren-dere un nuovo percorso continuando la sua vita.


CAPITOLO I. MORENO

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Breve panoramica sulla situazione carceraria in Italia


Allo stato attuale, secondo i dati raccolti dall’ultimo report di Antigone (rapportoantigone.it/diciannovesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/) , sembrerebbe che il sistema penitenziario e dunque l’esperienza carceraria invece di adempiere al suo dovere di rieducazione secondo il dispositivo dell’art.27 della Costituzione, sanando il divario fra i detenuti e la società, stia creando terreno fertile per amplificarla.


Secondo i dati del Ministero della Giustizia (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST449575), i 189 istituti di pena esistenti ad oggi in Italia ospitano 60.116 carcerati, là dove la capienza massima sarebbe invece di 51.272. Di questi, 6 istituti penitenziari si trovano nelle Marche e avrebbero una capienza di 837 carcerati ma ne ospitano 907 (secondo il rapporto 2023 di Antigone, il tasso di sovraffollamento a maggio 2023 era di 119,8%), di cui 36 sono detenuti presenti in semilibertà.


Oltre a trovarci di fronte ad un aumento generale di detenuti all’interno delle carceri, che ci spiega l’altro tasso di sovraffollamento, e ad una crescita di detenuti in carcere per reati meno gravi e condanne brevi, continua anche a crescere l’età media della popolazione detenuta: secondo i dati forniti dal rapporto di Antigone dal 2011 al 2022 gli over 50 sono passati dal 17% al 29%, gli over 70 sono

raddoppiati dall’1% al 2% mentre gli under 25 sono passati dal 10% al 6%.


Come sottolineato dal rapporto di Antigone:


“Sono tantissimi i detenuti in vista del fine pena, che potrebbero accedere ad alternative alla detenzione, o per i quali sono urgenti sforzi significativi perché il ritorno in libertà sia un successo, per loro e per chi li dovrà accogliere. Ma sappiamo bene, in particolare a causa della carenza degli educatori negli istituti, come entrambi questi scenari siano tutti in salita”.


In base ad una stima effettuata da Antigone su 97 istituti nel 2022 la media dei detenuti che lavorano è pari al 29,2% sul totale. Chi risulta alle dipendenze di datori di lavoro esterni è pari al 4%. Solo il 6,8% dei detenuti invece è stato coinvolto in un progetto di formazione professionale. Solo il 4% di detenuti sul totale al 31 dicembre 2022 era inserito in corsi di formazione offerti della realtà penitenzia (che potevano spaziare da corsi di giardinaggio e agricoltura a corsi di edilizia). Complessivamente solo il 32% degli ex-detenuti non torna a delinquere (fonte: ilSole24Ore).

CAPITOLO I. MORENO

Capitolo II.

Primo

CAPITOLO II. PRIMO

Nell’orto facciamo anche la conoscenza di Primo. Braccia incrociate, un maglioncino grigio con il collo a V, la barba appena fatta e un paio di occhiali da vista neri dalla montatura spessa, Primo ci sta aspettando al confine tra il prato dove abbiamo lasciato la macchina e la terra coltivata. Gli chiediamo di mostrarci gli ortaggi di cui si sta prendendo cura, e lo seguiamo sulla terra smossa; ci indica le fila di finocchi, cavolfiori colorati, broccoli e verza che partono dal punto in cui ci fermiamo e corrono perfettamente allineate per qualche

decina di metri fino al limitare dell’orto, verso la strada.


Primo indugia su ogni verdura, è molto preciso e meticoloso nel descriverne tipo e colore, spiegandoci quanto manca al momento della raccolta.


Ci racconta di essere nipote di agricoltori, con il padre che è passato dai campi alla fabbrica negli anni Sessanta – una scelta che ha portato la famiglia a spostarsi dal borgo natale di Smerillo a Campiglione.

CAPITOLO II. PRIMO

“Ritornare all’agricoltura dopo tanti anni come operaio facendo lavori diversi è stato un passo naturale per me. E poi a casa coltivo ancora l’orto che era di mio padre e prima ancora di mio nonno. Ho anche un piccolo bosco”.


Soffermandosi sui particolari dell’orto Primo riesce a entrare un po’ più in confidenza con noi; alle nostre domande inesperte ci risponde con pazienza, ci spiega di aver appena seminato aglio e fave e

tra una ventina di giorni, quando ormai sarà dicembre, ne verranno piantate ancora in modo da dilazionare la raccolta. Gli chie-diamo anche da dove provengono le semenze e ci racconta di Francesco, l’agronomo che li consiglia sulle tecniche di coltivazione e che con le sue competenze supporta il progetto della cooperativa.


È lo stesso professionista che li ha aiutati a realizzare l’impianto di irrigazione a goccia che fornisce acqua alle piante pompandola dal pozzo accanto all’orto.

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L’inserimento dei soggetti svan-taggiati all’interno della Cooperativa


L’inserimento all’interno della cooperativa avviene grazie alla stretta e continua collaborazione tra gli sportelli Caritas e i servizi sociali. Nel caso del carcere il collegamento può essere instaurato anche grazie alla collaborazione con gli educatori e le educatrici presenti all’interno della struttura.


I neosoci possono essere inseriti con un tirocinio o con un contratto a tempo determinato. Lo strumento del tirocinio, come spiegatoci dalla Vicepresidente Marta Andrenacci all’interno della sede della cooperativa, agisce come una forma di tutela:

“Molto spesso noi invece di fare subito l’inserimento lavorativo a volte cerchiamo prima di fare il tirocinio e poi l’inserimento lavorativo. Questo perché non tutte le persone sono in grado di reggere i ritmi di lavoro o comunque le regole degli ambienti di lavoro: a volte c’è bisogno di uno strumento un pochino più soft per abituarsi e adeguarsi, e poi se tutto va bene fare l’inserimento lavorativo”.


CAPITOLO II. PRIMO

Primo dà l’impressione di essere una persona abituata a riflettere, e quando l’argomento si allontana dalla gestione quotidiana dell’orto sono le sue stesse parole a darcene conferma: “una cosa molto importante per me ora è quella di riuscire ad arrivare a sera e riflettere su quello che ho fatto. È un bisogno che sento durante la giornata, stare per conto mio e rielaborare”.

Ci spiega che il suo approccio meditativo alla vita è scattato da poco, “grazie all’incontro con persone che mi hanno aiutato, qualcuno che ha creduto in me”. Un aiuto che, ci dice, non avrebbe saputo sfruttare se non avesse trovato la forza di chiederlo.

CAPITOLO II. PRIMO

Passeggiare nell’orto in compagnia di Primo è come muoversi all’interno del suo spazio privato, e noi lo attraversiamo cercando di rispettare la sua delicatezza, facendo attenzione a dove mettiamo i piedi.


Mentre ci muoviamo sul limitare dell’orto Primo torna al 1978, quando hanno avuto inizio i suoi problemi di

tossicodipendenza: aveva 16 anni, e ricorda quel periodo come un collettore di nuove esperienze e grandi di-sillusioni, dove un certo tipo di ribellione era legato a doppio filo al consumo e alla dipendenza di droghe pesanti.


“È stato uno stile di vita, un modo per affrontare la società e la famiglia”.

CAPITOLO II. PRIMO

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Gli ultimi dati del Ministero della Salute (salvo una, la Relazione Annuale al Parlamento sul Fenomeno delle Tossicodipendenze che è dell’anno corrente e che offre un quadro sui consumi) risalgono all’anno 2021 e sono esposti nel Rapporto Tossicodipendenze – Analisi dei dati del Sistema Informativo Nazionale delle Dipendenze 2022 (salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3272).


Il Rapporto rappre-senta la prima analisi nazionale dei dati rilevati attraverso il Sistema Informativo Nazionale per le Dipendenze (SIND, istituiti nel 2012).

Nel 2021 in Italia erano attivi 571 Servizi pubblici per le Dipendenze (Ser.D), di cui 14 nelle Marche.


Complessivamente a livello nazionale hanno assistito 123.871 soggetti dipendenti da sostanze (su un totale di 203.920 contatti), di cui 15.653 nuovi utenti (12,6%) e 108.218 soggetti già in carico o rientrati dagli anni precedenti.

Dalla fine degli anni Settanta Primo entra in un tunnel da cui riuscirà a rivedere la luce solo per pochissimo tempo, durante brevi parentesi: saranno anni di viaggi in Italia e all’estero, “storiacce”, esperienze diverse, “un pozzo di disperazione” da cui è riuscito a tirarsi fuori un paio d’anni fa.

Ci è riuscito da solo ma con l’aiuto degli altri, del SerT e di una comunità terapeutica, cercando di tradurre in realtà il suo “disperato bisogno di riscatto”.

CAPITOLO II. PRIMO

Primo si accende una sigaretta, si sente il rumore della pietra focaia e quello delle macchine che passano in lontananza, dove l’orto si confonde al prato prima di interrompersi sul ciglio della strada. Sorride dicendo che a gennaio di quest’anno finalmente si è sentito pronto per rimettersi in gioco; in quel periodo una persona che lavora nei servizi sociali di Fermo lo mette in contatto con la cooperativa, e ha inizio la sua collaborazione part time nell’orto.



“Qui ho trovato delle persone interessanti. Intelligenti. Giorno per giorno con impegno costante puoi conquistarti la loro fiducia”.


Sente di avere libertà di azione, possibilità di sviluppare le proprie competenze. Immagina nuove prospettive – l’idea di coinvolgere altre persone, ampliare i lavori di chi si occupa della manutenzione del verde pubblico, partecipare a gare d’appalto per sbloccare nuovi lavori.

CAPITOLO II. PRIMO

La conversazione si sposta su altri argomenti, Primo ci indica il piccolo oliveto in lontananza, raccontandoci che quest’anno a causa delle temperature la raccolta dei frutti è stata un po’ più complicata del solito. Parliamo della trasformazione dei prodotti e della sostenibilità, di cui ci dà la sua personale interpretazione: “per me sostenibilità vuol dire riu-

scire a convivere pacificamente con la terra, fra gli uomini. Consumare meno, mangiare cibi di stagione, impattare sull’ambiente il meno possibile.

Perché non ci siamo solo noi, siamo una componente che convive con gli animali, i vegetali. Siamo ospiti, come tutte le altre forme di vita”.


Chiediamo a Primo se si sente trasformato: “Quello che si trasforma secondo me è la conoscenza che si ha di se stessi. Dipende da quello che vuoi per te, non dimenticarsi che si può migliorare. E si impara sempre dalle persone, se si ha voglia di farlo”.


CAPITOLO II. PRIMO

Ci fermiamo lungo il confine tra l’orto e il prato, accanto al pozzo che fornisce l’acqua alle coltivazioni. “Quello che ho imparato adesso è che bisogna essere sempre positivi. Trovare piacere in quello che fai e trasmetterlo”.

CAPITOLO II. PRIMO

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L’importanza del reinserimento


Sebbene il primo articolo della Costituzione riconosca il lavoro come forza motrice della società, fonte di reddito e di inclusione, spesso le persone che rientrano nella categoria di soggetti svantaggiati si scontrano con l’indisponibilità delle

imprese ad assumere – un fenomeno che segnala la presenza di un forte divario di opportunità. Spesso, anche in caso di assunzione, queste persone sono soggette a disuguaglianze in merito alla retribuzione,

e questo avviene nonostante le diverse politiche pubbliche a tutela dell’inserimento lavorativo.


Assumere un lavoratore o una lavoratrice comporta dei costi per l’azienda, sia nell’attività di reclutamento che di formazione, costi che possono risultare inadeguati o anche inutili considerando che il lavoratore o la lavoratrice potrebbe non acquisire le conoscenze necessarie o anche abbandonare l’impresa.


La marginalizzazione di questa categoria avviene non solo per le limitazioni funzionali che possono colpire la persona – che quindi non ha la capacità, o ha la capacità ridotta, di svolgere un determinato ammontare di mansioni in un periodo di tempo lavorativo definito – ma può anche avvenire per una carenza di capacità relazionali, per via di una bassa scolarizzazione, qualificazioni obsolete o anche semplicemente per una esperienza lavorativa limitata come anche una disoccupazione di lunga durata (C. Borzaga, F. Paini, Buon Lavoro: le cooperative sociali in Italia. Storia, valori ed esperienze a misura di persona, Altreconomia, 2011).


Diventa quindi importante avere dei percorsi di inserimento lavorativo che siano in grado di rendere l’individuo autonomo e autosufficiente. La ricerca e l’orientamento al lavoro proposti da questi percorsi permettono infatti di superare alcune limitazioni per favorire l’individuazione di un posto di lavoro adatto, nonché un’adeguata formazione.


Tuttavia, il lavoro compiuto non sempre è sufficiente per il reinserimento lavorativo. Resta sempre uno scoglio da superare con le imprese e l’insoddisfacente funzionamento del mercato del lavoro, che spesso sembra essere disinteressato a investire nell’occupabilità di tutta la forza lavoro – considerata disomogenea dal punto di vista produttivo.


Sarebbe altrettanto utile che il mercato del lavoro assumesse piena consapevolezza del caleidoscopio di persone occupabili e delle loro necessità, e che queste persone non fossero escluse unicamente secondo una logica di produttività inferiore. Serve maggiore flessibilità per costruire più posti di lavoro che possono essere adatti alla forza lavoro nelle sue diverse sfaccettature. La mancanza di questa direzione nel nostro paese è un problema fortemente socioculturale. Attualmente, il modello industriale ha dei ritmi che non permettono di rispettare la responsabilità sociale che hanno queste imprese, come ci ha riferito Stefano Castagna in riferimento alle Marche – specializzate soprattutto nel settore delle calzature e degli accessori:


“[…] la cosa brutta negli ultimi anni è che i ritmi legati al mondo della moda fanno venir meno un modello di solidarietà.”

CAPITOLO II. PRIMO